La Scrittura - Autunno/Inverno 1997-98

RASSEGNA NARRATIVA

di Antonella Sarti

"Ma è proprio quando la coscienza dei sensi è all'acme della luce che si affaccia sottile la tentazione, la necessità d'ombra."

Omosessualità, fitofilia ed ebraismo sono i punti di snodo del primo romanzo di Marcelli, dotta esaltazione in chiave comico-fantastica della diversità. Una diversità in senso lato alla cui accettazione si giunge attraverso giullare, circense demolizione di tabù atavici, primo fra tutti quello mosaico della rivelazione del padre e della conoscenza, tradotto nell'iniziazione alla sessualità di un bambino. Analizzando il caso del fanciullo Giacomo Canto, orfano di padre, e affetto da fitofilia B attrazione sessuale per le piante B l'emerito professor Abramo Veritier, profugo dalla Russia antisemita del bolscevismo, si vede costretto a psicoanalizzare se stesso, liberando le infinite perversioni delle proprie pulsioni sessuali, nonché manie intellettuali. Offrendosi come padre consustanziale a Giacomo, Veritier si accosta a tale culto della natura, in un'unione spasmodica tra l'immaginario e la carne. Stuprare il "dio femmina" nel bosco, nell'abbraccio di un albero secolare, è per il sessuologo-psicoanalista culmine inevitabile di una vita trascorsa a dissertare sulla teoria del sesso femminile di dio e sul nesso tra genialità e circoncisione, e quanto mai risultato del proprio desiderio inibito di fagocitare una conoscenza ultima, proibita, di trasgredire. Di stuprare, cioè, un Cielo perduto per potersene riappropriare. Accanto al filtro letterario di Dante, Goethe, e del Virgilio delle Bucoliche, che ispirano al protagonista la percezione di essenze orfiche liberate nel bosco durante la consumazione di tale atto, l'autore lascia intravedere nel rapporto di Veritier con Giacomo il desiderio incestuoso di possedere un figlio, l'innocenza. Una possessione metafisica, prima ancora che fisica, nonostante i velati accenni del romanzo al tema ormai quotidiano dell'abuso sessuale dei minori, e al viaggio che tramite i suoi bizzarri personaggi esso compie nel mondo della sessualità adolescenziale B percorso a ritroso per riscattarsi da un modo distorto, morboso e persino macabro di viverla da adulti. Il dio femmina stuprato nel bosco è un grande esordio anche per questo: riesce a misurarsi con quella domanda gigantesca e irrisolta che tanta parte muove della letteratura ebraica B da che cosa nasce il desiderio di possessione, l'ossessione di entrare in un corpo, di divorarlo, di praticare riti proibiti o condannati? Che cosa si vuole esorcizzare? Forse è il dybuk (il peso della tradizione, uguagliato alla voce del male, al tabù) che secondo Guido Fink (A piedi da Wielpole: note sul cinema yiddish) ogni ebreo si porta dentro. E dunque la paura della tradizione, l'esempio dei "padri" che blocca? O la schizofrenia generata tra il terrore di esibirsi e il bisogno di farlo, mascherandosi inevitabilmente per essere accettati? Oppure l'arroganza di una conoscenza solo simulata che trattiene dalla genialità della vita naturale, una vita dei sensi che può rivelare l'arcano al di là del raziocinio nella spontaneità del piacere? Tali quesiti solleva il romanzo, una tavola aperta che, per certi tratti, sembra ricollegarsi idealmente al dramma pirandelliano degli uno, nessuno e centomila volti be ardi che nel chiudersi a cerchio del pensiero angosciano e deridono, tentando di demistificare l'identità dell'uomo contemporaneo.


indietro