diario - mercoledì 11 Febbraio 1998

Critici al Lavoro

Il fitofilo. La storia dell'uomo che amava le piante.

di Massimo Onofri

Che romanzo singolare e affollatissimo ha scritto Stefano Marcelli. E di qualità così indocile da non consentire interpretazioni veloci. Per focalizzarne con una qualche approssimazione il sentimento che lo informa, sono dovuto arrivare a pagina 88, in uno di quei punti in cui l'autore, sempre ironico e divertito, prende la parola:

"Sarebbe bello poter percorrere insieme le strade di tutti i personaggi fin qui incontrati, e condividerne le sorti ultime. Siccome però il filo della nostra storia vuole che seguiamo il giovane Abramo, perché più tardi diventerà il medico di Giacomo Canto, allora ne vedremo alcuni sparire senza dire neanche una parola e altri sfumare ai margini dopo una breve comparsa". Già, sarebbe bello poter raccontare tutte le storie appena intuite dentro quella principale: e Marcelli fa di tutto perché il loro riverbero duri. Ecco: è proprio questo desiderio inesauribile e screziato di narrare, un desiderio di natura metamorfica, ad assicurate la verità più ardita del libro.

La storia principale è appunto quella di Abramo Veritier e Giacomo Canto: due protagonisti dello Strano caso del bambino degli alberi, per stare al titolo della prima parte del romanzo. Li incontriamo subito, come dentro un'istantanea: Abramo è quasi centenario, e vive a Mantova, accudito da una premurosa governante che ha conosciuto solo con lui, da pochi anni ed in età matura, le gioie del sesso: è di origine ebraica ma cattolico, è un famoso psicanalista ed è stato stimatissimo allievo del celeberrimo Edoardo Weiss, nonché autore di rivoluzionarie interpretazioni della Bibbia, ma ha anche sostenuto originali teorie sul sesso di Dio: la sua sembra ormai una vecchiaia confortevole e salutista, fuori dal mondo, quando si trova a leggere, per sbaglio, la notizia che Canto, il profeta di una nuova filosofia, è diventato il premier del Paese, quel bambino che, tanti anni prima, affetto da una misteriosissima perversione (la fitofilia), che lo induceva ad accoppiarsi con gli alberi, aveva rappresentato il caso più importante di tutta la sua carriera.

Ma Abramo e Giacomo non sono solo i protagonisti di questo appassionante romanzo. Sono soprattutto i catalizzatori della lussureggiante fantasia di Marcelli. Prendete la seconda parte del libro, quella intitolata Giorni cicatrice dell'anima: vi troverete una piccola saga ebraica, quella dei Pravdakim in fuga da una Russia saccheggiata dai bolscevichi, costretti a ripartire prima in Francia e poi in Italia, a cambiare nome ed identità religiosa: una saga che allinea personaggi indimenticabili come Nathan Pravdakim, il nonno di Abramo, l'usuraio col vizio delle donne che morirà devastato dalla sifilide. Ma anche a prenderlo dal lato di Giacomo, per i rami del suo albero genealogico, il romanzo non è avaro di soddisfazioni; basterà inseguire la vogliosa madre del piccolo malato, nel racconto che di se stessa, di suo marito, fa allo psicanalista. Della terza parte, quella che dà il titolo al libro, la più folta di sorprese, segnalerò solo un misteriosofico allestimento di invenzioni. Ma la singolarità del libro non apparirebbe tutta se non ne sottolineassi il prepotente pansessualismo (leggete le pagine sugli accoppiamenti primaverili dei genitori di Giacomo), il curioso panpsichismo (penso ai continui colloqui di Abramo con gli organi del proprio corpo), che ne fanno il documento più eccentrico di questa stagione letteraria. Lasciamo stare, allora, le prevedibili ingenuità (magari in qualche dialogo): questo esordio è davvero sorprendente.


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