L'Unità - venerdì 19 dicembre 1997

E del 1997 i critici salvano...

di Giulio Ferroni

Tra gli Italiani invece suggerisco la lettura del romanzo di Stefano Marcelli, "Il dio femmina stuprato nel bosco" (Fazi, p. 202, lire 22.000). È un testo che rivela un senso eccezionale della vita e della natura. Altro che pulpismo...


il diario - mercoledì 11 Febbraio 1998

Il fitofilo. La storia dell'uomo che amava le piante.

di Massimo Onofri

Che romanzo singolare e affollatissimo ha scritto Stefano Marcelli. E di qualità così indocile da non consentire interpretazioni veloci. Per focalizzarne con una qualche approssimazione il sentimento che lo informa, sono dovuto arrivare a pagina 88, in uno di quei punti in cui l'autore, sempre ironico e divertito, prende la parola:

"Sarebbe bello poter percorrere insieme le strade di tutti i personaggi fin qui incontrati, e condividerne le sorti ultime. Siccome però il filo della nostra storia vuole che seguiamo il giovane Abramo, perché più tardi diventerà il medico di Giacomo Canto, allora ne vedremo alcuni sparire senza dire neanche una parola e altri sfumare ai margini dopo una breve comparsa". Già, sarebbe bello poter raccontare tutte le storie appena intuite dentro quella principale: e Marcelli fa di tutto perché il loro riverbero duri. Ecco: è proprio questo desiderio inesauribile e screziato di narrare, un desiderio di natura metamorfica, ad assicurate la verità più ardita del libro.

La storia principale è appunto quella di Abramo Veritier e Giacomo Canto: due protagonisti dello Strano caso del bambino degli alberi, per stare al titolo della prima parte del romanzo. Li incontriamo subito, come dentro un'istantanea: Abramo è quasi centenario, e vive a Mantova, accudito da una premurosa governante che ha conosciuto solo con lui, da pochi anni ed in età matura, le gioie del sesso: è di origine ebraica ma cattolico, è un famoso psicanalista ed è stato stimatissimo allievo del celeberrimo Edoardo Weiss, nonché autore di rivoluzionarie interpretazioni della Bibbia, ma ha anche sostenuto originali teorie sul sesso di Dio: la sua sembra ormai una vecchiaia confortevole e salutista, fuori dal mondo, quando si trova a leggere, per sbaglio, la notizia che Canto, il profeta di una nuova filosofia, è diventato il premier del Paese, quel bambino che, tanti anni prima, affetto da una misteriosissima perversione (la fitofilia), che lo induceva ad accoppiarsi con gli alberi, aveva rappresentato il caso più importante di tutta la sua carriera.

Ma Abramo e Giacomo non sono solo i protagonisti di questo appassionante romanzo. Sono soprattutto i catalizzatori della lussureggiante fantasia di Marcelli. Prendete la seconda parte del libro, quella intitolata Giorni cicatrice dell'anima: vi troverete una piccola saga ebraica, quella dei Pravdakim in fuga da una Russia saccheggiata dai bolscevichi, costretti a riparare prima in Francia e poi in Italia, a cambiare nome ed identità religiosa: una saga che allinea personaggi indimenticabili come Nathan Pravdakim, il nonno di Abramo, l'usuraio col vizio delle donne che morirà devastato dalla sifilide. Ma anche a prenderlo dal lato di Giacomo, per i rami del suo albero genealogico, il romanzo non è avaro di soddisfazioni; basterà inseguire la vogliosa madre del piccolo malato, nel racconto che di se stessa, di suo marito, fa allo psicanalista. Della terza parte, quella che dà il titolo al libro, la più folta di sorprese, segnalerò solo un misteriosofico allestimento di invenzioni. Ma la singolarità del libro non apparirebbe tutta se non ne sottolineassi il prepotente pansessualismo (leggete le pagine sugli accoppiamenti primaverili dei genitori di Giacomo), il curioso panpsichismo (penso ai continui colloqui di Abramo con gli organi del proprio corpo), che ne fanno il documento più eccentrico di questa stagione letteraria. Lasciamo stare, allora, le prevedibili ingenuità (magari in qualche dialogo): questo esordio è davvero sorprendente.


D. la Repubblica 6 gennaio 1998

Promesse d'autore

di Francesco Durante

Il dio femmina stuprato nel bosco, di Stefano Marcelli, altro esordio, stavolta di un quarantenne: un libro che con un po' di fatica si potrebbe definire favolistico-morale. Si fa pure fatica a riassumerlo, tanto è il carico di fantasia, di sorpresa che lo sottende e lo giustifica. E' la storia di Giacomo Canto, figlio di una ninfomane e di un dio dei boschi: e di mille altri personaggi, all'inizio del secolo. Un libro iperbolico e ipertrofico ma (curiosamente) non per invadenza di linguaggio: piuttosto, per ricchezza di idee e invenzioni visionarie.


IL SOLE 24 ORE - domenica 23 Novembre 1997

Torna talvolta il piacere di raccontare

di Ermanno Paccagnini

È accaduto non di rado, in questi anni, di sottolineare come la produzione creativa italiana sia stata caratterizzata da scritture più che da narrazioni, e come sia stato sempre più spesso marginalizzato quello che Arpino amava definire il "raccontatore di storie". Il discorso non vale tanto per le generazioni precedenti, che sanno comunque ancora esprimere delle fedeltà (penso a un Tomizza, per esempio); quanto per le più prossime a noi, anche se a loro volta in grado di esprimere talenti in tal senso, come si può verificare con le affabulazioni pur non sempre adeguatamente registrate (peraltro: per eccesso di narratività) di un Maggiani. Insomma: per anni i giovani si sono spesso trovati a proporre scavi interiori (personali, di gruppo, generazionali), che cercavano di rivivere in forza di scrittura. Una dimensione che negli ultimi tempi mi pare subire un significativo mutamento di rotta: nel senso del recupero del piacere di raccontare, anche se poi l’oggetto del racconto piacevole e tranquillizzante non è, dato che le preferenze di tale narratività poggiano sulla "narrazione di genere", come il giallo, il noir, la fantascienza e così via.

Non esclusivamente, però. E lo evidenzia l’esordio di Stefano Marcelli (classe 1958) con Il dio femmina stuprato nel bosco, un romanzo in cui il lettore coglie subito la vena dell’autore e il suo piacere di raccontare. Non tutto funziona ovviamente, e anzi diverse componenti restano irrisolte; ma si registra una qualità: ossia che Marcelli possiede il polso del narratore. Le componenti che si intrecciano nel libro sono diverse e varie: dall’ebraismo alla psicanoalisi, al fantastico, al romanzo di formazione vissuto nella componente memoriale, che si coagulano nel flash-back che una pagina di giornale con la notizia dell’elezione per unanime volontà popolare del nuovo premier, Giacomo Canto, attiva nel vecchio psicanalista Abramo Veritier. Il lettore si trova a rivivere così, nell’atmosfera dell’Italia di oggi accennata sullo sfondo, la storia d’una duplice "malattia": la fitofilia del piccolo Giacomo, figlio della ninfomane Virginia e di Silvano, dio dei boschi (si badi al gioco dei nomi), e della sua gioia insieme bizzarra e favolistica nel congiungersi con gli alberi; e il dramma della conoscenza che investe Abramo, che si esplicita in dichiarazioni pubbliche sul sesso femminile di Dio, così come si secreta nelle private riflessioni e indagini sul magico mondo arboreo retto da Ur, popolato da esseri fantastici, in cui vuole entrare con la forza.

Un romanzo di pochi personaggi (ai ricordati va aggiunto quello simpaticamente vitale della governante), che quando si abbandona al gusto del narrare scorre fluidamente e tiene avvinto il lettore. Va riconosciuto infatti a Marcelli il possesso non solo del ritmo del racconto, ma anche di quello della frase, della prosa. Che però conosce momenti di freno, specie quando l’autore, medico, rompe l’equilibrio instauratosi tra professione e narrazione e cede a momenti esplicativi (pp. 14-15); ad altri più "tecnici" (i capitoli 6 e 7, da scorciare; e anche 8, dove un po’ "si pianta"); o anche da semplici postille (pp. 98, 141, 147, 163); così come chiede di essere meglio chiarita la peraltro delicata intrusione del narratore che s’affaccia a "dire la sua" (funziona bene invece il flash-back delle origini familiari). Un peccato: perché la conquista delle ragioni del vivere del professor Veritier viene poi sviluppata in un racconto di pregevole ariosità.


La Stampa 6 novembre 1997

Amare gli alberi e un dio femmina

Stefano Marcelli: esordio nel bosco di Virgilio

intervista di Bruno Quaranta

Potenza dell'aforisma. "Accadde che su La Stampa, un anno fa, Guido Ceronetti accolse nella rubrica Oggi una mia sentenza: "La vita: malattia mortale che si trasmette per via sessuale". Trasformai la citazione in un biglietto da visita. Lo mostrai a questo e a quell'editore - fino ad allora non ero riuscito a perforare la cortina della diffidenza o dell'indifferenza -, finché Fazi mi arruolò. Anche Busi mi intercettò, ma l'editing a cui avrebbe voluto sottoporre il romanzo si annunciava troppo audace e così non se ne fece nulla".

Il romanzo - come definirlo?, uno scampolo di paganesimo romantico? - è Il dio femmina stuprato nel bosco, erudito, esuberante, comico, erotico, soffuso di una spiritualità steineriana. L'autore è un medico, il trentanovenne Stefano Marcelli, natali foggiani, padre napoletano, madre settentrionale, il cromosoma padano via via rivelatosi dominante. Specializzato in psicologia clinica, cura i pazienti con gli aghi ("Agopuntura in tasca è il mio best-seller, seimila copie") e con le parole. Inevitabile il rendez-vous, l'affinità elettiva sperimentata con Guido Ceronetti, l'anacoreta che ha saputo "dire" il silenzio del corpo. ("A Guido Ceronetti, provvido mentore e Fortuna Sbendata" è dedicata, una delle molte dediche, l'opera.)

E' una storia perversa, Il dio femmina, di una perversione fantastica, la fitofilia, l'attrazione fatale, sessuale, esercitata dalle piante, nel caso su di un fanciullo, tale Giacomo Canto, destinato a diventare premier, leader assoluto, due le scommesse: "La programmazione di un'alimentazione vegetariana di massa e, in pieno accordo col pontefice, l'istituzione di un culto cristiano degli alberi". "No, la fitofilia è inutile cercarla nella letteratura medica, non la si troverebbe, appartiene a una sfera metaumana - avverte Stefano Marcelli -, io comunque l'ho sfiorata, magari un miraggio, chissà. Mi trovavo negli Stati Uniti, in un parco affollato di querce. Ebbene: mi sentii calamitato, catturato da queste piante".

Fitofilia e ebraismo, l'ulteriore ramo del romanzo. Che cosa li lega? Ma le querce, naturalmente: "...nella Terra Promessa - si conclude la lettera di Giacomo Canto al professor Veritier - dove sono le querce più giovani e promettenti". Veritier, il centenario psicoanalista cresciuto alla scuola di Edoardo Weiss che ancora copula con la governante signora Belandis (miracoli dell'agopuntura?), un marrano - la famiglia, durante la guerra, scelse la conversione per fuggire l'Olocausto. Il dio femmina stuprato nel bosco risalta pure come omaggio smisurato al mondo, alla civiltà, alla testimonianza dei figli di Sara e di Abramo.

"Ebraica è la radice delle grandi rivoluzioni: il cristianesimo, la psicoanalisi, il marxismo. Sono affascinato dall'intelligenza che il popolo eletto sprigiona. Veritier - ricorda Marcelli - stabilisce un nesso fra genialità e circoncisione. Logica, ancorché destinata a sconvolgere l'opinione pubblica, la proposta che formula: affidare la guida culturale ed economica dell'Occidente agli ebrei, ancorché diventati cristiani".

Alla fitofilia il professor Veritier si accosta seguendo il caso di Giacomo Canto fanciullo, sorpreso avvinghiato a un giovane castagno dalla madre, Eris Virginia, donna votata a essere posseduta. Lo stesso Veritier l'avrà, fra un coito divino e l'altro. Perché stuprare il dio femmina nel bosco è la sua autentica conquista, teorica e pratica: "Se l'albero è il pene, dunque l'albero è maschio, e il cielo è femmina. Avevo ragione: Dio è femmina. Sto penetrando Dio".

E dire che Stefano Marcelli, alla narrativa è giunto attraverso sentieri ottocenteschi: "Ho cominciato a scrivere dopo essermi imbattuto in un racconto di Gautier..." Massì, le vie che portano al virgiliano Bosco della Fontana, paradiso dei fitofili, sono infinite. A proposito, nessuna paura: "Da chi fuggi, o demente? Anche gli dei abitarono i boschi".


La Gazzetta di Mantova – venerdì 2 gennaio 1998

IL ROMANZO DELLA NATURA Le avventure fatate di una città silvestre

di Tina Guiducci

Un professore, uno psicanalista di grande fama, ormai anziano ma non spento in tutte le sue passioni: Abramo Veritier. Un nuovo leader politico: Giacomo Canto. Una coppia di sposi: Virginia e Silvano. Una città silvestre e acquatica, piccola e antica: Mantova. Una storia che si apre come un frutto, che si lacera per permettere al sugo dolce di uscire. Un po’ di dolore e di nostalgia. Questi sono gli elementi portanti del romanzo Il dio femmina stuprato nel bosco, dell'esordiente Stefano Marcelli, medico, poco più che quarantenne. Un libro bello. Il cuore della storia è il rapporto tra il professore e il giovane Giacomo, accompagnato dalla madre Virginia nello studio di Veritier, per la sua "fitofilia". Abramo prende in cura il bambino, ma decide di avvicinare il più possibile la materia incandescente di questo amore silvano e sceglie Bosco Fontana per i suoi esperimenti. La sua vita di uomo e di medico verrà scardinata. Un mondo fantastico e invisibile, ma caldo e brillante per chi sa sfiorarlo, si accende davanti agli occhi del professore, che incontra le divinità silvestri e finalmente parla davvero con il suo giovane e saggio paziente.


IL MESSAGGERO - sabato 6 giugno 1998

Quell'attrazione sessuale per le piante. Irresistibile.

di Renato Minore

LA VICENDA centrale - il nodo intorno a cui tutto si aggroviglia e si sgroviglia nel romanzo di Stefano Marcelli - è un singolare rapporto di coppia, di terapeuta e paziente, di maestro e allievo. La coppia è composta da uno scienziato centenario, Abramo, che, senza Viagra, si mantiene ancora sessualmente assai arzillo, e da un suo giovane ex assistito, Giacomo, ora assunto ai fasti politici, ma un tempo afflitto da una singolare patologia: la fitofilia, l'attrazione irresistibile (e sessuale) per le piante. Un caso raro, unico, che merita attenzione e cure sistematiche: così sulle tracce della memoria di una malattia così improbabile, si sciorina la scena romanzesca in cui Abramo, allievo di Edoardo Weiss, vive un suo partocolarissimo rapporto con la conoscenza religiosa.

Eccentrico raccontatore di storie, storie anche minime che si perdono nel gran fuoco della storia centrale: Stefano Marcelli è forse l'esordio più ghiotto dell'annata letteraria e averlo nello Strega renderebbe più ricco il coller della cinquina. Il suo talento è nel saper omogeneizzare un universo di buffi o di diversi, ognuno segnato da una mania devastante, come la madre ninfomane di Giacomo. Marcelli tritura tutto, dal pansessualismo che perfeziona la vena panica e naturalistica, allo psichismo come chiave di interpretazione della persona, all'ebraismo singolarmente affiorato nel personaggio minore di Nerone, addetto alle cremazioni nel cimitero di Venezia. Il suo rigore è nell'eccesso, nella proliferazione che talora può anche essere troppo esplicativa o didattica, contagiosa e deformata. Ma in questo caso, il troppo non è leopardianamente "parente del nulla". Rispetto a nature più parsimoniose e intimistiche o centrate sull'effetto cannibalico o post-pulp, Marcelli ha una pista sicura e ossessiva. Ha un orecchio molto registrato che gli cura il ritmo saltante del racconto e gli evita la dispersione e la pura erranza musicale. E' però scrittore che, con facilità, può attorcigliarsi nella maniera di sé. L'augurio è che non perda la sua qualità già a sufficienza evidente. O non la baratti, o non la riduca in formula se avrà (come è probabile) un po' di successo.


La Scrittura - Autunno/Inverno 1997-98

RASSEGNA NARRATIVA

di Antonella Sarti

"Ma è proprio quando la coscienza dei sensi è all'acme della luce che si affaccia sottile la tentazione, la necessità d'ombra."

Omosessualità, fitofilia ed ebraismo sono i punti di snodo del primo romanzo di Marcelli, dotta esaltazione in chiave comico-fantastica della diversità. Una diversità in senso lato alla cui accettazione si giunge attraverso giullare, circense demolizione di tabù atavici, primo fra tutti quello mosaico della rivelazione del padre e della conoscenza, tradotto nell'iniziazione alla sessualità di un bambino. Analizzando il caso del fanciullo Giacomo Canto, orfano di padre, e affetto da fitofilia - attrazione sessuale per le piante - l'emerito professor Abramo Veritier, profugo dalla Russia antisemita del bolscevismo, si vede costretto a psicoanalizzare se stesso, liberando le infinite perversioni delle proprie pulsioni sessuali, nonché manie intellettuali. Offrendosi come padre consustanziale a Giacomo, Veritier si accosta a tale culto della natura, in un'unione spasmodica tra l'immaginario e la carne. Stuprare il "dio femmina" nel bosco, nell'abbraccio di un albero secolare, è per il sessuologo-psicoanalista culmine inevitabile di una vita trascorsa a dissertare sulla teoria del sesso femminile di dio e sul nesso tra genialità e circoncisione, e quanto mai risultato del proprio desiderio inibito di fagocitare una conoscenza ultima, proibita, di trasgredire. Di stuprare, cioè, un Cielo perduto per potersene riappropriare. Accanto al filtro letterario di Dante, Goethe, e del Virgilio delle Bucoliche, che ispirano al protagonista la percezione di essenze orfiche liberate nel bosco durante la consumazione di tale atto, l'autore lascia intravedere nel rapporto di Veritier con Giacomo il desiderio incestuoso di possedere un figlio, l'innocenza. Una possessione metafisica, prima ancora che fisica, nonostante i velati accenni del romanzo al tema ormai quotidiano dell'abuso sessuale dei minori, e al viaggio che tramite i suoi bizzarri personaggi esso compie nel mondo della sessualità adolescenziale B percorso a ritroso per riscattarsi da un modo distorto, morboso e persino macabro di viverla da adulti. Il dio femmina stuprato nel bosco è un grande esordio anche per questo: riesce a misurarsi con quella domanda gigantesca e irrisolta che tanta parte muove della letteratura ebraica B da che cosa nasce il desiderio di possessione, l'ossessione di entrare in un corpo, di divorarlo, di praticare riti proibiti o condannati? Che cosa si vuole esorcizzare? Forse è il dybuk (il peso della tradizione, uguagliato alla voce del male, al tabù) che secondo Guido Fink (A piedi da Wielpole: note sul cinema yiddish) ogni ebreo si porta dentro. E dunque la paura della tradizione, l'esempio dei "padri" che blocca? O la schizofrenia generata tra il terrore di esibirsi e il bisogno di farlo, mascherandosi inevitabilmente per essere accettati? Oppure l'arroganza di una conoscenza solo simulata che trattiene dalla genialità della vita naturale, una vita dei sensi che può rivelare l'arcano al di là del raziocinio nella spontaneità del piacere? Tali quesiti solleva il romanzo, una tavola aperta che, per certi tratti, sembra ricollegarsi idealmente al dramma pirandelliano degli uno, nessuno e centomila volti be ardi che nel chiudersi a cerchio del pensiero angosciano e deridono, tentando di demistificare l'identità dell'uomo contemporaneo.


adesso HERAUSGEBER UND VERLAGSLEITER 6/98

LIBRI

di Luca Vitali

Come il titolo stesso suggerisce, il romanzo è ricco di simbologie religiose e psicanalitiche. Non di scuola junghiana, come forse ci si aspetterebbe, ma più nel solco della tradizione freudiana e psichiatrica (l'autore è medico). Marcelli non solo è intelligente, ha anche un'ottima sensibilità letteraria e riesce a creare attorno ai suoi personaggi, ricchi di vissuto, un'atmosfera coerente e viva. Sono tre, e potrebbe anche essere una coincidenza: il medico, un ebreo di origini nordiche che vive nel mantovano, il bambino, innocente "malato" di una strana perversione sessuale chiamata dal medico "fitofilia", e sua madre, una misteriosa signora dalla origini balcaniche. Non è difficile riconoscere nella novella i lineamenti della favola del figlio del re del mondo, arrivato sulla terra per derimere una società ormai prossima alla disperazione totale. E perché no, viene da chiedersi, se viene raccontata con ironia e garbo? Difficoltà: media. Stile: letterario.


Espresso Talks n° 19 - 3 aprile 1998

di Rebecca Anne Wright (NYU)

Stefano Marcelli, Il dio femmina stuprato nel bosco (Roma: Fazi Editore, ott. 1997) Oscillating between the realms of fantasy and history, psychoanalyst Abraham Veritier and his patient Giacomo, "il bambino degli alberi", emerge suspended in the dreamlike reality of a narrative that explores the dynamics of desire and the mutability of its objects.


il manifesto - giovedì 13 novembre 1997

Un dio femmina tra botanica e pornografia

di Filippo La Porta

“Penetrare sessualmente il cielo...”. In questa frase, tratta dall'opera prima di Andrea Marcelli (Il dio femmina stuprato nel bosco), si riassume la filosofia estrema, "carnevalesca" del romanzo: teologia e pornografia, misticismo e vernacolo, botanica e sessuologia, mitologia antica e politica contemporanea. La trama fittissima, straripante di personaggi e storie, sembra davvero appagare la nostra fame arretrata di narratività, in tempi di aridi minimalismi e di pensose, asfittiche autobiografie. Né avrebbe senso riassumerla, tanti sono i colpi di scena, le agnizioni, gli aforismi, le digressioni, i frammenti saggistici di cui è disseminata. Basterà ricordare che vi si narra di come Giacomo Canto, figlio di Ur, dio vegetale femmina (o del mite guru Silvano, utopista e mistico dei boschi) e di una povera donna bigotta e ninfomane, affetto da una malattia rarissima, la "fitofilia" (si unisce agli alberi, preferibilmente castagni) diventò primo ministro, anche grazie all'educazione del professor Veritier, ormai centenario, che vive a Mantova con una governante "ancora soda e tenace" (di cui è stato il primo uomo). E effettivamente il vecchio professore ebreo, la cui storia si perde nei pogrom antisemiti della Russia bolscevica, con la sua teologia del piacere anale e la sua voracità sessuale, è il personaggio più vivo del romanzo. Di qui poi una lunga catena di accoppiamenti sessuali, orgasmi, racconti mitici, minitrattati sull'eros (con la riproposizione assai persuasiva di quel Dio-femmina già caro a Papa Luciani...), di commenti ai classici e alle Sacre Scritture. Con questo libro l'editore Fazi inaugura una collana di autori italiani esordienti, che oggi è come avventurarsi, senza molte bussole, in un oceano testuale sterminato, che ricopre l'intera penisola, fatto di migliaia e migliaia di dattiloscritti proposti quotidianamente a case editrici, riviste, premi letterari, etc. La scelta del romanzo di Marcelli, che può esibire una insolita carica affabulatoria ma che presenta alcuni difetti d'insieme non trascurabili, ha il pregio di delineare subito una precisa fisionomia della collana, abbastanza in linea con il già nutrito catalogo del giovane editore. Eleganza, gusto della classicità stravagante, cultura raffinata. Orazio, Dante, Shakespeare, la Bibbia..., esoterismo e mistica ebraica, sadomaso e astrologia, zingari e creature invisibili, e ancora medicina, genetica, zoologia, linguistica... A volte sembra di star leggendo un romanzo tipicamente Adelphi: ricordiamo in proposito quell'esordio di Paolo Maurensig (anche lì come in Marcelli perfino i nazisti!), che appariva come un insuperabile spot pubblicitario dell'editore (che non sia la casa editrice di Calasso la segreta aspirazione dell'austero e squisito Fazi?). Fuor di battuta, Il dio femmina stuprato nel bosco si presenta come un romanzo ambizioso, in cui molte e diverse suggestioni sono frullate vorticosamente, ma con una certa inerzia e mancanza di ironia nella costruzione. Gli si riconosce volentieri una generosità di racconto, una lingua educatissima, una precisione nei riferimenti scientifici (l'autore è medico). Ma per questo genere di romanzo, di vivace mescolamento di alto e basso, tradizione colta e Kitsch (pensiamo al Quinto elemento di Luc Besson: anche lì si celebra la Vita!) occorreva più verve e umorismo. Possiamo anche scrivere che "il sole era alla suprema culminazione" (un neologismo da prosa un po' ricercata e poi parlare dell'"organo a canna della voluttà" (espressione quasi da rivista trash), ma forse ci si dovrebbe divertire di più a farlo. Mentre l'autore in più di un'occasione si sforza di essere lieve e spiritoso ma senza risultato, come quando Veritier si avvicina, eccitatissimo, all'oggetto del desiderio "a passi felpati, da predatore della savana". Alla fine in questo bosco rigoglioso e vagamente adelphiano troviamo un eccesso di aromi, e una intenzione troppo seriosa.


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