La Stampa 6 novembre 1997

Amare gli alberi e un dio femmina

Stefano Marcelli: esordio nel bosco di Virgilio

intervista di Bruno Quaranta

Potenza dell'aforisma. "Accadde che su La Stampa, un anno fa, Guido Ceronetti accolse nella rubrica Oggi una mia sentenza: "La vita: malattia mortale che si trasmette per via sessuale". Trasformai la citazione in un biglietto da visita. Lo mostrai a questo e a quell'editore - fino ad allora non ero riuscito a perforare la cortina della diffidenza o dell'indifferenza -, finché Fazi mi arruolò. Anche Busi mi intercettò, ma l'editing a cui avrebbe voluto sottoporre il romanzo si annunciava troppo audace e così non se ne fece nulla". Il romanzo - come definirlo?, uno scampolo di paganesimo romantico? - è Il dio femmina stuprato nel bosco, erudito, esuberante, comico, erotico, soffuso di una spiritualità steineriana. L'autore è un medico, il trentanovenne Stefano Marcelli, natali foggiani, padre napoletano, madre settentrionale, il cromosoma padano via via rivelatosi dominante. Specializzato in psicologia clinica, cura i pazienti con gli aghi ("Agopuntura in tasca è il mio best-seller, seimila copie") e con le parole. Inevitabile il rendez-vous, l'affinità elettiva sperimentata con Guido Ceronetti, l'anacoreta che ha saputo "dire" il silenzio del corpo. ("A Guido Ceronetti, provvido mentore e Fortuna Sbendata" è dedicata, una delle molte dediche, l'opera.) E' una storia perversa, Il dio femmina, di una perversione fantastica, la fitofilia, l'attrazione fatale, sessuale, esercitata dalle piante, nel caso su di un fanciullo, tale Giacomo Canto, destinato a diventare premier, leader assoluto, due le scommesse: "La programmazione di un'alimentazione vegetariana di massa e, in pieno accordo col pontefice, l'istituzione di un culto cristiano degli alberi". "No, la fitofilia è inutile cercarla nella letteratura medica, non la si troverebbe, appartiene a una sfera metaumana - avverte Stefano Marcelli -, io comunque l'ho sfiorata, magari un miraggio, chissà. Mi trovavo negli Stati Uniti, in un parco affollato di querce. Ebbene: mi sentii calamitato, catturato da queste piante". Fitofilia e ebraismo, l'ulteriore ramo del romanzo. Che cosa li lega? Ma le querce, naturalmente: "...nella Terra Promessa - si conclude la lettera di Giacomo Canto al professor Veritier - dove sono le querce più giovani e promettenti". Veritier, il centenario psicoanalista cresciuto alla scuola di Edoardo Weiss che ancora copula con la governante signora Belandis (miracoli dell'agopuntura?), un marrano - la famiglia, durante la guerra, scelse la conversione per fuggire l'Olocausto. Il dio femmina stuprato nel bosco risalta pure come omaggio smisurato al mondo, alla civiltà, alla testimonianza dei figli di Sara e di Abramo. "Ebraica è la radice delle grandi rivoluzioni: il cristianesimo, la psicoanalisi, il marxismo. Sono affascinato dall'intelligenza che il popolo eletto sprigiona. Veritier - ricorda Marcelli - stabilisce un nesso fra genialità e circoncisione. Logica, ancorché destinata a sconvolgere l'opinione pubblica, la proposta che formula: affidare la guida culturale ed economica dell'Occidente agli ebrei, ancorché diventati cristiani". Alla fitofilia il professor Veritier si accosta seguendo il caso di Giacomo Canto fanciullo, sorpreso avvinghiato a un giovane castagno dalla madre, Eris Virginia, donna votata a essere posseduta. Lo stesso Veritier l'avrà, fra un coito divino e l'altro. Perché stuprare il dio femmina nel bosco è la sua autentica conquista, teorica e pratica: "Se l'albero è il pene, dunque l'albero è maschio, e il cielo è femmina. Avevo ragione: Dio è femmina. Sto penetrando Dio". E dire che Stefano Marcelli, alla narrativa è giunto attraverso sentieri ottocenteschi: "Ho cominciato a scrivere dopo essermi imbattuto in un racconto di Gautier..." Massì, le vie che portano al virgiliano Bosco della Fontana, paradiso dei fitofili, sono infinite. A proposito, nessuna paura: "Da chi fuggi, o demente? Anche gli dei abitarono i boschi".


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